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L’ultima passeggiata di Pino

Lo osservavamo incuriositi, in quel suo incedere lento, avanti e indietro, da una parte all’altra del paese. In quegli infiniti pomeriggi d’inverno, in cui ben poco c’era da fare per noi ragazzini, Pino era stato più volte al centro delle nostre vaghe e inutili discussioni. Ne scrutavamo i movimenti, quel braccio oscillante che di tanto in tanto culminava in una giravolta, un saltello, e poi via con la solita, lunghissima, passeggiata. Era divenuto per tutti “Pino pantera”, “pantera rosa”, per via di quelle braccia lunghe ed elastiche sempre in movimento. Non arrivammo mai a disturbarlo, a farlo innervosire con sfottò o altro, e lui non sembrava mai infastidito. Ho sempre avuto come la certezza che lui lo percepisse, fosse a conoscenza della nostre attenzioni. Imparammo a volergli bene.
Ci chiedevamo chi fosse e il perché di quella andatura ondulante, con quelle lunghe braccia che andavano avanti e indietro, su e giù, con armonia, a un ritmo cadenzato difficile persino da essere imitato. Non proferiva mai una parola. Nessuno sapeva il perché di quel silenzio. Giravano tante leggende. Si diceva che un giorno impugnando una zappa si fosse fatto male e da allora fossero cominciati i problemi. Qualcuno raccontava invece di un incidente stradale, da ragazzo, che lo aveva segnato per sempre. C’era chi vantava di averlo sentito parlare una volta, ma nessuno ne aveva mai avuto la certezza. Pino era un personaggio sempre presente di questo paese. A volte era una involontaria parte integrante delle nostre giornate, del nostro gruppo. Non potevi non incontrarlo, non incrociarlo. Noi che ragazzini vagavamo per le vie del paese, tra un passatempo e l’altro, e lui che macinava chilometri per tutto il paese, con la sua immancabile sigaretta in mano e quel suo sguardo accigliato che nascondeva chissà quale passato.
Per lungo tempo non abbiamo avuto più sue notizie. Oggi ho visto la sua foto in piazza. Se ne è andato a 66 anni, per gravi problemi di salute. Per la prima volta ho appreso qualcosa della sua vita. A conti fatti, in quegli anni in cui imparammo a conoscerlo, aveva la mia stessa età di oggi. Mi chiedo a cosa abbia mai pensato durante quelle interminabili passeggiate, quali fossero i suoi interessi, se abbia mai avuto un desiderio da realizzare, cosa ci avrebbe potuto raccontare se solo gli avessimo chiesto di parlare. In quelle lunghe passeggiate da solo, per molti un invisibile, per noi divenuto amico silenzioso, ricordo del nostro passato.

 

“Loro, innanzitutto, non hanno paura della morte, male, per Giove, non trascurabile. Non li tormentano rimorsi di coscienza; non li turbano le storie degli spiriti dei defunti; non hanno paura delle apparizioni; non si crucciano per il timore di mali incombenti; non entrano in ansia nella speranza di beni futuri. Insomma, non sono in balìa dei mille affanni a cui è esposta la nostra vita. Ignorano la vergogna, il timore, l’ambizione, l’invidia, l’amore. Infine, chi più si avvicina alla stupidità dei bruti – ne sono garanti i teologi – è anche immune dal peccato. Ed ora, mio sciocchissimo saggio, vorrei che tu mi esternassi tutti gli affanni che notte e giorno tormentano il tuo animo e facessi un bel mucchio di tutti i tuoi guai; alla fine capiresti quanto gravi mali ho risparmiato ai miei folli. Aggiungi che, non solo vivono in perpetua letizia, scherzando, canterellando, ridendo, ma offrono anche a tutti gli altri, dovunque vadano, motivi di piacere, scherzo, divertimento e riso, come se la benevolenza divina proprio a questo li avesse votati: a rallegrare la tristezza della vita umana. Perciò, mentre gli uomini provano, caso per caso, sentimenti diversi verso i loro simili, nei confronti di questi pazzi nutrono senza eccezione sentimenti amichevoli: li vanno a cercare, li nutrono, li stringono in una sorta di caldo abbraccio e, all’occorrenza, li soccorrono, non tenendo in nessun conto quanto possono dire o fare. Nessuno desidera fargli del male. Persino le bestie feroci li risparmiano, istintivamente consapevoli della loro innocenza. Infatti sono davvero sacri agli Dèi, e a me in particolare. Perciò, a buon diritto, sono da tutti onorati “. (Elogio della follia, Erasmo da Rotterdam).

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