Le vicende del ponte stradale sul fiume Jato non nascono oggi e pongono la problematica in una dimensione più ampia rispetto ai bisogni stretti e attuali nel profilo strutturale di quel ponte.
Nel 1963, sotto la spinta delle eroiche rivendicazioni e delle lotte di Danilo Dolci e delle masse che lo seguivano, iniziò la costruzione della diga sul Fiume Jato che avrebbe dato luogo all’invaso Poma. Il nuovo bacino, oltre a dare una spinta notevole alle potenzialità agricole di un vasto comprensorio, ci ha liberato da ricorrenti vicende che alcuni di noi ancora ricordano. Nella stagione invernale, l’acqua piovana, drenata da una parte consistente dell’ampio entroterra del Golfo di Castellammare, determinava ondate di piena del fiume che straripava dal naturale alveo per invadere per intero il suo delta che a monte si spingeva sopra l’attuale ponte di cemento e sui lati dal costone lato Trappeto sino alla sede di quel che resta dell’attuale Colonia Marina “A. De Gasperi”. Tutto sotto acqua.
Storicamente quella era una zona paludosa che ha avuto un ruolo primario nella diffusione della malaria che tanti lutti portò nelle nostre popolazioni sino alla II Guerra Mondiale. Alcune di queste ondate di piena causarono seri danni al transito ferroviario e stradale. Si ricorda l’alluvione del 1936 che si portò via il ponte stradale di cui rimangono le vestigia a valle del ponte attuale. Nei racconti dei nostri padri si risale agli anni ’20, epoca in cui Trappeto, allora frazione di Balestrate, aveva solo le prime due classi delle Scuole Elementari; i ragazzi che volevano frequentare le classi successive dovevano raggiungere, quasi sempre a piedi, Balestrate e, spesso, per problemi di viabilità nel periodo invernale, dovevano guadare il fiume con l’ausilio di un barcaiolo.
Dagli anni ’60, per l’azione di compensazione dell’invaso, non abbiamo più avute ondate di piena e quei tempi sembrano millenni distanti. Ma quel ponte, stradale o pedonale, in qualunque sede è stato, è e sarà, ha un valore simbolico che arriva ai nostri giorni quanto meno sin dall’inizio del secondo millennio. Non si vuole raccontare l’intera storia del territorio ma nemmeno si può dimenticare il nostro passato perché “La memoria per una comunità ha un significato intrinseco, legato alla filologia della sua evoluzione con la ricostruzione di eventi e di comportamenti umani da custodire, e uno estrinseco per consolidare un continuum nell’appartenenza socio-culturale, alla quale è legata l’essere odierno e dalla quale, più che ricercarne l’emulazione, è possibile trarre ispirazione per un orientamento strategico delle nostre azioni future. Il passato è ricchezza, è identità, è ispirazione.” Da questa ricchezza che è il nostro passato bisogna trarre ispirazione per le azioni future.
Noi partiamo da un passato prossimo, dal ventiquattro giugno 1954, da quando la popolazione di Trappeto fu svegliata nel cuore della notte dalle campane che suonavano a stormo e che annunciavano che l’Assemblea Regionale Siciliana aveva approvato nella seduta pomeridiana il Disegno di Legge che decretava l’autonomia comunale di Trappeto. Una autonomia ormai voluta da anni dal popolo e supportata da diversi leader locali. Da quel giorno inizia la storia moderna di Trappeto che, in tal modo, veniva sciolto dai vincoli del Regio Decreto del 29 marzo 1820 che istituiva il comune di Balestrate composto da Sicciara, la frazione principale, e Trappeto, la frazione secondaria. Per un periodo lungo oltre un secolo, Trappeto aveva sofferto del ruolo di frazione minore a cui venivano riservate opzioni sociali penalizzanti rispetto a quelle riservate alla frazione di Sicciara. Fu naturale che per Trappeto iniziasse un periodo intriso dagli aneliti del riscatto sociale ed economico, spinti dagli animi di gente laboriosa.
Gli aneliti divennero realtà dagli anni ’60. Trappeto divenne un paese-giardino, fiori e piante dappertutto, rispettati da tutti. La cura dell’ambiente e iniziative sociali e culturali richiamarono i primi villeggianti. Il peculiare habitat marino, poche spiagge e ampie scogliere alcune delle quali basse, ricoperte da accarezzante posidonia e percorribili a piedi per decine di metri a distanza dal bagnasciuga, fu valorizzato in modo “naturale”. Il centro storico, racchiuso nei limiti dell’antico borgo sviluppatesi attorno allo scaro e al trappetum cannamelarum, è stato curato con scelte oculate. Le reazioni scomposte della politica e della magistratura verso le battaglie, l’opera sociale ed educativa di Danilo Dolci si attutirono anche perché impotenti contro unanimi attestazioni di stima che provenivano al Sociologo da tutto il mondo. La sua è stata una sociologia rivoluzionaria, basata non su basi teoriche ma sull’attività diretta sul campo con il chiaro messaggio che i leader, senza il coinvolgimento della popolazione e dei diretti interessati, non hanno possibilità di condurre alcuna lotta proficua. Dagli anni ’60-’70, Borgo di Dio divenne un laboratorio e un santuario visitato da esponenti di spicco della cultura e della sociologia internazionale. Ebbi una frequentazione con lui negli anni ‘90, nei suoi ultimi anni di vita, per motivi professionali. Un giorno, lui, anche se sofferente, mi accolse con un sorriso e con l’impegno che prima che io fossi andato via mi avrebbe fatto vedere qualcosa. Aveva tirato fuori dal suo archivio una mia lettera degli anni ’50 e di cui avevo dimenticato l’esistenza; era indirizzata a lui, a sostegno della lotta per la costruzione della diga sullo Jato. Aveva saputo coinvolgere anche le scuole elementari.
Tutto questo fa parte della storia recente di Trappeto ed è stato determinante per richiamarvi un turismo qualificato.
Potrei tracciare la storia moderna di Balestrate ma non servirebbe perché quanto ho testimoniato per Trappeto è funzionale alla evidenza che gli aneliti di riscatto e di rivalsa degli anni ’50 e ’60 dei trappetesi verso i balestratesi non hanno più motivo di essere. I due comuni hanno intrapreso le loro strade indipendenti, con alterne vicende, anche se bisogna dire che negli ultimi decenni hanno perso lo smalto che in precedenza li aveva fatto preferire sul piano turistico.
Balestrate e Trappeto oggi costituiscono un’enclave “depressa” rispetto a un ampio territorio che ci circonda e in cui altri centri hanno trovato la via per lo sviluppo socio-culturale ed economico. Non siamo l’unica enclave in tal senso ma questo non ci può confortare.
Oggi, Balestrate e Trappeto hanno l’opportunità di ripartire e di farlo assieme, valorizzando i beni ambientali, strutturali e culturali del loro territorio. Le recenti illustrazioni del Vignettista Sicciaroto che ci raccontano dell’amore impossibile, per via del ponte impraticabile, tra i Sindaci di Balestrate e Trappeto non sono altro che la trasposizione umoristica di questo bisogno di crescita delle due comunità.
Sono partito dal ponte stradale sul fiume Jato, sono transitato per diverse vicende storiche sino all’oggi. Ma perché tutto questo?
Quella strada provinciale che collega Balestrate a Trappeto non ha solo un valore strutturale ma anche simbolico, è il naturale cordone che lega due comunità che furono gemelle. Questo giustifica la nostra massima indignazione per la chiusura di quel ponte e i cui balletti burocratici e progettuali rischiano di protrarre nel tempo interventi che, tra l’altro, potrebbero risultare insufficienti e inefficaci. Il ponte è vecchio strutturalmente e non più funzionale a un transito a fruizione anche turistica e più che rimaneggiato andrebbe ricostruito.
La rivisitazione di quella strada e del ponte può costituire un primum movens per uno sviluppo congiunto delle due comunità. Dobbiamo avere la fantasia, il gusto, la cultura e l’orgoglio di pensare a quella strada come un via corredata da piste ciclabili e pedonali, da aiole, panchine e quanto altro è utile per fruire delle bellezze che da quei luoghi si offrono al passante. Una promenade alla francese.
Mi sento di lanciare un appello ai due Sindaci, che peraltro mi sembrano piuttosto sensibili alla collaborazione, ai due Consigli Comunali, nelle componenti di maggioranza e minoranza, alle forze sociali e a entrambe le comunità per sostenere, ognuno per i propri adempimenti, la rinascita di quella strada, di un nuovo ponte e delle due comunità. Bisogna stabilire una reciprocità socialein cui ogni cittadino, per il suo ruolo e le sue abilità, può risultare utile alla causa, indipendentemente dall’appartenenza. Se la tensione sarà forte non occorreranno tempi lunghi; sarebbe una “cosetta” rispetto alla ricostruzione di altre strade e altri ponti.
Ricordiamo a noi stessi che, con la dismissione delle province, la Città Metropolitana di Palermo è stata piuttosto avara verso il territorio, potrebbe essere l’occasione per ricordarlo e farla intervenire. È solo una pista; organi tecnici e amministrativi ne potranno individuare, con competenza, altre.
Nessuno, ma proprio nessuno di noi può ignorare questa opportunità di sviluppo, né che, per vederne la realizzazione, bisogna volerla fortemente e impegnarsi in tal senso.
Ringrazio, per la pazienza avuta, chi è arrivato alla fine della lettura di questo documento.