Neanche un computer bruciato è riuscito a cancellare quei racconti che Gianni aveva inviato quando Balestratesi.it era attivo da poco tempo. Due storie erano rimaste conservate chissà come nella Rete, altre due invece, “Il bacio” e “L’attore”, sono finite chissà dove. Quelle che siamo riusciti a trovare le pubblichiamo qui, una di seguito all’altra, per rendere il nostro omaggio a un uomo che ha amato tanto Balestrate e che ha sempre spinto e sostenuto le attività di questo piccolo blog. Ricordo quando fu presa la decisione di chiudere il sito, il primo a telefonare fu proprio lui, che disse di ripensarci, con un misto di rabbia e amarezza e una convinzione che inizialmente non riuscii a capire e mi spiazzarono. Ora che dalla nascita del sito sono passati dieci anni, adesso che ho fatto di tutto per mantenere la residenza a Balestrate, forse qualcosa l’ho capita. Ma vogliamo ricordare anche un altro balestratese scomparso di recente e conosciuto da tutti in paese: lo zio Mommo, che dalla sala giochi della piazza ha visto crescere tantissimi ragazzi del nostro piccolo paese. Forse se la comunità balestratese fosse più unita, se facesse di tutto per non dimenticare le proprie radici, troverebbe più facilmente la forza per portare avanti tutte le battaglie necessarie a migliorare ogni giorno questo piccolo paese.
21/11/2004
L’ABBANNIATURI
….meeeee…la mamma unnè?? E’ nna lu rre !…e chi fa ?
mancia…vivi e si sta dda…canticchiava lentamente e con voce flebile mia madre e nel frattempo con le dita cercava fra i mie capelli i pidocchi. Ogni tanto ne trovava uno. Lo prendeva e lo lasciava cadere nel braciere, che era vicino a noi, provocando una piccola fiammella seguita da un’odore di carta bruciata e riprendeva a cercare intonando la solita cantilena….meeee….. la mamma unnè?…..Fuori pioveva e tirava il solito venticello di maestrale che faceva sbattere le persiane contro i muri. Ogni tanto si sentiva la voce della za Ancilina che richiamava suo figlio Tano che giocava per la strada e non voleva rientrare.
Mia madre, terminata l’incombenza serale della ricerca dei pidocchi, si alzò per sfaccendare ed io mi avvicinai alla persiana che dava sulla strada.
Non era molto tardi ma quella sera d’autunno del 44 era gia’ buio. Fulippinu era appena passato con le sue due caprette a vendere il latte casa per casa.
Non lo vidi subito perché la lampadina del lampione che illuminava l’angolo non era molto forte. Man mano che si avvicinava lo distinguevo meglio.
Era lungo ed allampanato e il suo andamento lento si accoppiava all’ombra della sua figura che si proiettava contro il muro fino a sovrapporsi quando si fermò e vi si appoggiò con le spalle.
Diede un colpo di tosse. Appoggiò il suo bastone contro il muro. Buttò la cicc a per terra e portando le mani ad imbuto verso la bocca cominciò a gridare con voce sgraziata a rotta dal catarro ma sonora abbastanza per essere sentita fino ad una cinquantina di metri.
A cu voli fasulina e milinciani frischi po gghiri na la za Piccopia scippaocchi ca li vinni a bon prezzo.
U zu Pitrino Anfuso avi na paittita di racina appena cugghiuta e la voli vinniri prima ca si appassulisci…..
Mimiddu….Mimiddu….si sentii una voce femminile che lo chiamava e gli chiedeva dettagli su quanto aveva appena abbanniato. E lui rispondeva sempre con toni misurati dando ulteriori informazioni.
Poi riprendeva il suo bastone e dando precisi colpetti contro il muro continuava verso l’angolo successivo per ricominciare il suo messaggio.
Talvolta riuscivo a sentirlo fino all’angolo della strada grande e notavo come ogni volta aggiungeva o modificava qualche parola al messaggio precedente.
Quando diventai più grandicello spesso lo seguivo per tutto il corso principale per vedere quante fermate faceva.
Non si fermava sempre agli stessi angoli. Talvolta ne saltava alcuni senza motivi apparenti.
Avrei voluto domandargli perché; ma avevo paura di avvicinarmi a lui. La sua figura piuttosto spettrale faceva impressione e poi non volevo che reagisse in maniera scorbutica come era solito fare a qualche battuta di qualche perditempo.
Un giorno, infatti, camminandogli appresso inavvertitamente mi avvicinai troppo. Lui se ne accorse e si fermò di botto. Poi con quella sua voce roca e sgradevole, girando leggermente la testa verso di me disse – Cu sì ? – Io spaventato scappai via e da quel giorno non lo seguii più da vicino.
Tutte le volte però che passava sul marciapiedi di casa mia, quando si trovava all’altezza della nostra persiana, dava un colpetto con il bastone, si schiariva la voce e guardava verso la vetrata della porta mormorando qualcosa di incomprensibile.
Avevo paura. Avevo paura di lui e del suo bastone. Avevo paura dell’abbanniaturi del paese…Mimiddu l’orbu.
Alcuni anni dopo, ero già abbastanza grande, ritornai in paese dopo essere stato a lungo in Piemonte e lo ritrovai. La voce ancora più roca, la figura più curva e l’andamento più lento e più ondulante., la coppola più lisa e la sua faccia legnosa ornata da un paio di grossi occhiali scuri che prima non gli conoscevo.
Non avevo più paura e quindi alla prima occasione mi avvicinai. Eravamo in piazza.
Lui fumava, come sempre ed era seduto sulla panchina di legno vicino alla fontana davanti alla chiesa. Mi sedetti accanto a lui ed accesi anch’io una sigaretta. Ricordo che era una Gitane.
Dopo un paio di boccate il fumo della mia sigaretta sfiorò il suo viso e lui sventolando la mano cercò di allontanarlo.
Avrei voluto dirgli qualcosa. Scusarmi. Ma lui mi precedette e mi disse – ma che sigarette stai fumando? –
Sapevo che se gli avessi detto il nome della marca delle sigarette non avrebbe avuto senso cosi decisi…….- aspetta. Aspetta – mi anticipò – queste….se non sbaglio….sono sigarette francesi….evvero ? e senza aspettare risposta continuò…- e se non sbaglio ancora sono …Gitane.- Bravo – gli dissi in tono complimentoso –Lei è veramente bravo.
Ma tu cu si ? Mi chiese con il piglio di chi ha la curiosita’ viscerale di sapere e di conoscere qualcuno. –
– Io mi chiamo Nino e sono figlio di u zu Aspano Lanzafame u mastru uttaru.
Trasalì. Si girò verso di me. Allungò la mano e mi sfiorò il braccio quasi a cercare un contatto fisico per riconoscermi.
Ma tu non sei quello che quando eri piccolo mi seguivi ?
Questa volta fui io a trasalire. Come diavolo aveva fatto questo, a distanza di tutti questi anni, a ricordarsi di quell’episodio che io avevo quasi dimenticato.
….si….ma non lo facevo per male – risposi timidamente.
– u sacciu…u sacciu….dammi na sicaretta di queste francesi ca avi assai ca unni
fumu.
Ma dimmi na cosa. Dove sei stato tutto questo tempo e to patri come sta?
Siamo stati in Piemonte. Tutta la famiglia. Mio padre adesso ha una fabbrica di botti.
Si voltò ancora verso di me e ridacchiando disse – ma comu u zu Aspanu faceva li utti e ora fa li ochi ri focu.
Quando tentai di spiegargli l’equivoco mi rassicurò ancora dicendo…u sacciu….u sacciu….io volevo solo babbiari.
-Il fatto e’ – disse ora parlando in un italiano accettabile – che in questo paese tutti quelli che emigrano si adattano a fare il mestiere che capita di fare nel paese dove vanno.
Cominciò una tiritera di esempi sul figghiu ru zu Cola, sul cugnatu ru zu Matteo e su altri.
Stavo a sentirlo affascinato e contemporaneamente sorpreso per quanto e per cosa diceva. Sapeva dettagli di situazioni familiari ed entrava nel merito di questo e di quello. Parlava di politica locale discutendo su alcuni equilibri ed opportunismi di parte entrando nei particolari. In poco meno di dieci minuti, parlando fitto, fitto ed intercalando i discorsi fumando la sua eterna sigaretta mi fece uno spaccato di vita paesana come pochi avrebbero saputo fare.
Poi una lunga pausa.
Ninuzzo ma tu ti ricordi quanto io facevo l’abbanniaturi ?
Ma certo che mi ricordo…come si possono dimenticare questi ricordi che fanno parte della mia infanzia. Anzi le debbo dire che lei è stato il protagonista di un mio racconto che ho pubblicato sul giornale dove abitualmente scrivo.
Cosa hai fatto tu ? mi disse con tono preoccupato…mi mittisti no giornali ?
….Ho scritto un racconto su di lei. Ho raccontato della sua figura tipica che ha dato un contributo……..mi fermai di botto. Mi ero reso conto che stavo parlando ad uno che non era stato mai a scuola, non sapeva leggere e scrivere e che probabilmente, anzi sicuramente, avrebbe travisato la mia spiegazione.
Attia….per caso hai scritto che facevo l’abbanniaturi ?
Certo, risposi timidamente, zu Mimè io sono un giornalista…uno di quelli scrivono sopra i giornali……e hai scritto un cuntu si di me ? mi incalzò ancora preoccupato.
Si. Ho raccontato ai mie lettori i ricordi della mia infanzia qui in paese. Di quando girava il fotografo per le strade a fare le fotografie, del consalemme, di quelli che giravano col pianino ed il pappagallo che prendeva la poliza con il becco, la corsa dei cavalli di San Giuseppe, dell’antinna…..
Ho capito, ho capito…mi interruppe…e di me cosa hai scritto…chiese ora con fare incalzante.
Ho scritto che lei è la memoria del paese, nel senso che essendo una persona molto vecchia, tutti quanti noi che abbiamo già una certa età, ci ricordiamo di lei da quando eravamo bambini.
Mentre parlavo si alzò in piedi e con gesti sicuri, agganciando il suo bastone al braccio, tirò fuori dalla tasca dei pantaloni un pacchetto di sigarette ed un accendino. Prese una sigaretta e l’accese con estrema sicurezza noncurante della fiammella che gli lambiva le dita diventate ormai insensibili a questa operazione.
Arasciu…disse dopo avere dato una lunga tirata alla sigaretta soffiando il fumo verso di me…arasciu…ci sono persone più vecchie di me. Ad esempio u zu Ancilino petrafennula e za Marannna a trappitara….un babbiamo.
Si, lo so che ci sono persone più vecchie di lei….ma quelli non fanno parte dei personaggi della mia infanzia…..e non mi hanno lasciato nessun ricordo quindi non mi interessano come giornalista.
Ho capito….e la gente che leggeva questa storia…. che fa ci piaceva ?
Si. Infatti per questo racconto ho ricevuto un premio che si dà a chi scrive il più bel racconto dell’anno.
Bravo…mi disse poggiando la sua mano sul mio braccio che strinse con affetto. Un sorriso stentato apparve sulla sua faccia di creta che sembrava modellata da un artigiano maldestro tante era le spigolature ed i solchi che la percorrevano.
Bravo…bravo….certo fa piacere quando uno del paese si fa onore…e come se anche noi che siamo rimasti qui lo abbiamo aiutato in qualche modo a diventare bravo.
Rinunciai a confutare questa sua considerazione. Non volevo contrariarlo. Ma poi soggiunse: …però….si tu avissi ristato in paese forse non diventavi giornalista e non scrivevi questo racconto ed ora non staresti qui a raccontarmelo…ma questo fa parte della vita.
La piazza, scenario di pietra, era deserta in quel momento. Qua e la alcune foglie cadute dagli alberi svolazzavano lievi sospinte da un leggero vento di scirocco e ricadevano sul pavimento di marmo sporco ed abbronzato dal tempo.
Restammo muti a guardare il vuoto pieno di ricordi, Nell’aria si sentiva ancora la vibrazione dell’ultimo rintocco della campana della chiesa…e Lui fumava….
Ninuzzo…..assorto com’ero a guardare quello scenario unico ed incomparabile non feci in tempo a rispondere…..Ninuzzo….ma chi fa taddumiscisti ??
Lo rassicurai toccandolo ad un braccio e gli chiesi:….c’è qualcosa o qualcuno che lei ricorda in maniera particolare….qualcuno che ha lasciato un segno indelebile nei suoi ricordi.
Bi comu parri difficili….certo che c’è!
Aspirava il fumo dalla sigaretta stringendo le labbra sottili. La brace del tabacco bruciato si avvicinava sempre di più alle sue dite lunghe, nere e rigide come pezzi di
canna secca. Poi con lentezza batteva alcuni colpi di indice sul mozzicone per fare cadere la cenere.
Zu Mimè allora ?….lo incalzai.
Allora chi…mi rispose secco.
…il ricordo….
Nca….disse piuttosto spazientito quasi fingendo….se tu non me lo chiedi.
…e va bè…aggiunsi io facendogli il verso….sintemu.
Si aggiustò la coppola di panno verde scuro che gli conoscevo da sempre, si impostò meglio sul sedile quasi a cercare una posizione più comoda prima di incominciare a parlare.
Dunque devi sapere….cominciavano quasi sempre così i suoi racconti…o meglio le sue fantasie, le sue verità…insomma le storie viste da lui e raccontate ogni volta con una versione più ricca di particolari…era il millenovecento….non mi ricordo se era il sedici o il diciotto…..Ora ci vorrà mezz’ora prima che riprenda il racconto se prima non ricorda la data giusta, pensai svogliatamente. Ma come sempre accadeva in queste circostanze tralasciava questo particolare che datava i suoi ricordi e riprese lento, scandendo bene le parole.
….Don Pasqualino Crimenti aveva un cane. Sai uno dei quei cani grossi e pilusi…..e qui fece una pausa. Aspettava che io con un suono, un si o un allora? Gli confermassi la mia attenzione al suo racconto.
Ninuzzo…ma tu mi senti…..nca pecciò ……risposi prontamente.
….dunque na poco di cagnolazzi che giravano paisi, paisi….il suono forte e prepotente della campana della chiesa coprì le sue parole e prima ancora che l’eco dell’ultimo rintocco fu coperto dal rumore intenso e sgangherato dal tubo di scappamento di una moto che passava, smise di raccontare.
Ninuzzo…me ne devo andare. Appoggiandosi al suo inseparabile bastone lentamente si alzo e cominciò a camminare in direzione di casa sua.
Zu Mimè e lu cunti di lu cani pilusu ? gli gridai rincorrendolo.
Domani te lo racconto meglio….così mi ricordo pure che anno era.
Il rumore del suo bastone che lo precedeva sbattendo ora sulla strada, ora sull’orlo del marciapiedi si affievolì insieme alla sua figura man mano che lui si allontanava.
Non lo rividi più. Ma ogni volta che ritorno ai ricordi della mia infanzia lo vedo li, appoggiato al muro di fronte casa mia che abbannia….a cu voli fasulina e milinciani…………a perenne ricordo di un uomo che con la sua semplice esistenza si è trasformato in un pezzo di memoria storica del paese.
GIOVANNI MATRANGA
_______________________________________________________________________________________
LAMPO (OVVERO)- LA VERA STORIA DI BALESTRATE
Capitolo 1° – L’apparizione
C’era una volta un piccolo villaggio di pescatori situato a metà fra i paesi di Favarotta e Castellammare.
Questo villaggio non aveva un nome ma siccome si trovava nei pressi di una zona marittima ricca di seppie allora la gente del luogo lo chiamava “SICCIARA” appunto da siccia.
I sicciaroti erano povera gente. Quasi tutti pescatori che ogni notte, anche in inverno col freddo e la pioggia, uscivano in mare per tentare di pescare. Quel poco pesce che riuscivano a pescare lo vendevano, quasi sempre a poco prezzo, al castello del Principe di Calatubo o lo scambiavano con i contadini del luogo in cambio di frutta o altri prodotti della terra.
Il villaggio era abitato da una decina di famiglie, da due asinelli, da sei galline e un gallo e da due cani e tutti vivevano insieme con serena rassegnazione cercando di sopravvivere alla miseria e sperando che prima o poi qualche evento sarebbe riuscito a cambiare la loro esistenza in meglio.
Ed infatti, un bel giorno successe qualcosa di nuovo tanto da destare l’interesse di tutti gli abitanti del villaggio. Un bel mattino d’agosto, nella piazzetta piccola, mentre u zu Petro, mastro r’ascia si apprestava ad aprire la capanna che serviva da luogo di riunione del Consiglio di li masculi, si accorse che per terra c’era un fagotto nero ed impolverato. Avvicinatosi per vedere meglio si accorse che quel fagotto era uno scialle nero e vecchio che copriva a malapena una persona che dormiva; tant’è che parte delle gambe uscivano fuori dallo scialle.
Attia….gridò u Zu Petro…. ma non hai altro posto dove andare a dormire ?
Lentamente il fagotto nero cominciò ad aprirsi fino a scoprire una figura lunga, secca, allampanata di un ragazzo di circa dieci anni vestito con indumenti vecchi e più grandi rispetto alla sua misura
Il ragazzo lentamente si alzò e chiese con voce roca ancora piena di sonno…….unni sugnu ?
U zu Petro lo guardò sbalordito e gli rispose…come unni siii…. tanto per cominciare chi sei, da dove vieni, a cu appartieni, come ti chiami, che ci fai qui………
Arasciu, arasciu…lo fermò il ragazzo…vassia fà troppe domande…diciamo che ieri sera mi sono perso e ho pensato bene di scurare qua. Ora me ne vado. Fatti alcuni passi per allontanarsi il ragazzo cominciò a vacillare e cadde per terra come un mucchio di ossa rotte.
U zu Petro preoccupato si chinò per dargli aiuto ma si accorse che era svenuto. Lo prese in braccio e con sua grande sorpresa si accorse che il ragazzo pesava molto meno di quanto non sembrasse.
Lo adagiò sul tavolo della capanna della riunione e cominciò a suonare con insistenza la piccola campana situata all’esterno che serviva per chiamare a raccolta gli uomini del villaggio.
Dopo un pò alcuni pescatori accorsero trafelati ….che ci fù zu Petro…..la riunione non era per le nove?….Certamente che era per le nove…..ma poco fà ho trovato un ragazzo qui che dormiva per terra e siccome è svenuto l’ho messo sul tavolo…venite…venite a vedere.
Nel frattempo anche alcune donne, richiamate dal suono insistente della campana, si erano avvicinate. Fra queste c’era a za Rosa, moglie dello zu Petro, che alla vista dal ragazzo cominciò a prodigarsi per farlo rinvenire. Bagnò un fazzoletto con l’acqua del cannolo li vicino e lo passò sulla fronte e sul viso del ragazzo che cominciò a dare segni di vita. eddamatri…ma stu ragazzo avi bisogno di mangiare…Petru vai a prendere del pane e del latte…. presto. U zu Petro partì di corsa e dopo breve tempo tornò con il pane e latte che fù subito dato al ragazzo che cominciò a divorare quanto gli avevano dato.
Appena finito di mangiare ringraziò e fece per alzarsi ma la za Rosa gli disse….nossignore tu ora vieni con me a casa…. ti riposi un poco….e poi ci racconti tutto.
Ma come te lo vuoi portare a casa senza sapiri cu è……intervenne u zu Petru. Ma un’occhiataccia della moglie lo fece desistere e preso il ragazzo a braccetto se lo porto piano, piano verso casa sua.
Capito 2° – La scommessa
Erano passati alcuni mesi da quando il ragazzo era comparso far i Sicciaroti ed ormai era abbastanza in carne e vispo tanto da aiutare u zu Petro nel suo lavoro di mastro d’ascia. La za Rosa aveva convinto il marito a tenere il ragazzo fin quando non si fosse ristabilito per poi riportarlo alla sua famiglia….ma quale famiglia….il ragazzo sembrava avere dimenticato tutto. Persino il suo nome. Ognuno nel villaggio voleva chiamarlo a modo suo: chi quattrossa, chi…. Ma siccome quando giocava con gli altri ragazzi del villaggio era il più veloce di tutti nella corsa, lo soprannominarono Lampo. Quando correva sembrava volare. Muoveva le sue lunghe gambe con tale velocità da sembrare un cavallo in piena corsa.
Dunque Lampo era il ragazzo più veloce, ma anche più furbo e vispo del villaggio e quando non aveva niente da fare si allenava per la gara di corsa a piedi scalzi, che si teneva ogni anno dal villaggio al Castello di Calatubo. E chi vinceva si portava a casa un sacco di farina che il Principe metteva in palio.
Un giorno appunto che Lampo correva nelle campagne incontrò un gruppo di uomini a cavallo che andavano verso il castello. Uno dei cavalieri, un certo Aspano, chiamato bummulu cruru, un tipo prepotente ed angheroso, lo fermò.
……chi sei e dove vai così di fretta.
…..mi chiamo Lampo e mi stò allenando per la gara di corsa a piedi scalzi.
Bene, bene…..disse Aspano, quindi sei un corridore….e dimmi un pò sei veloce ?
Certo che lo sono… rispose Lampo con fermezza.. tutte le gare che faccio con gli altri ragazzi del villaggio le vinco sempre io. Per questo mi chiamano Lampo.
Ma se sei così veloce come dici….. continuò Aspano …potresti battere anche un cavallo?
Lampo esitò un poco e poi con tono deciso rispose…certamente!
Questa affermazione fece ridere Aspano con gli altri cavalieri che lo accompagnavano.
Bene allora facciamo una gara ….disse Aspano…da qui a chi arriva prima al castello di Calatubo e scommettiamo che chi arriva dopo deve dare 10 denari a chi vince.
Ma io non ho denari…..rispose Lampo preoccupato..
Ma tu che bisogno hai dei denari, rispose Aspano,…non hai detto che sei più veloce di un cavallo…..vincerai sicuramente….disse maliziosamente.
Lampo esitò un poco e poi disse con fierezza….Va bene accetto!
Il percorso per arrivare al castello era piuttosto lungo e tortuoso. L’ultima parte era in salita e piena di tornanti….ma Lampo sapeva il fatto suo.
Aspano scese di sella, diede qualcosa da mangiare al suo cavallo. gli allisciò la criniera e risalì in groppa.
Lampo si mise in posizione di partenza e aspettò che uno dei cavalieri che accompagnavano Aspano desse il segnale di partenza.
VIA….scattò come un lampo e cominciò a correre per la trazzera. Era a piedi scalzi e la trazzera era piena di pietre ed erbaccia…..ma Lampo volava.
Intanto Aspano con il suo cavallo trotterellava poco più dietro con gli altri cavalieri e rideva incitando Lampo……ma come non avevi detto di essere più veloce del lampo….com’è che sei ancora qui…corri, corri più veloce altrimenti ti raggiungo. Poi d’improvviso si mise a frustare il suo cavallo facendolo galoppare tanto da raggiungere e superare Lampo in breve tempo. Il cavallo di Aspano correva così veloce che in pochissimo tempo Lampo lo perse di vista lungo il percorso pieno di curve e di saliscendi.
Ma Lampo correva, correva più veloce del solito. Lui sapeva che avrebbe vinto.
All’improvviso dietro una curva trovò Aspano fermo all’abbeveratoio mentre faceva dissetare il suo cavallo…….ma come Lampo…ancora qui sei….io credevo che eri già arrivato al castello.
Lampo, tutto ansimante e sudato lo guardò rallentando di poco la corsa e piuttosto preoccupato riprese a correre più veloce mentre alle sue spalle sentiva le risate di Aspano e dei suoi amici.
Aspano risalì in groppa e spinse il suo cavallo al galoppo che in breve superò Lampo e si avviò su verso la salita del castello perdendosi in breve dalla vista.
A questo punto Lampo, anzicchè seguire la trazzera si inerpicò lungo il sentiero del boschetto accorciando così di molto il percorso. Mentre correva i rami degli alberi ed i cespugli spinosi gli ferivano le gambe, le braccia ed il viso….ma lui correva…correva… tanto sapeva che avrebbe vinto.
Improvvisamente la figura del castello gli apparve in tutta la sua imponenza. Era stanco, ormai correva da molto. L’ultimo tratto di salita lo fece quasi barcollando ma infine stanco e felice si accasciò davanti all’enorme cancello gridando….ho vinto….ho vinto.
Dopo un poco arrivò Aspano con il suo cavallo stremato e con la schiuma in bocca. Non rideva più ed era rosso dalla rabbia.
Non vale, non vale…si mise ad urlare. Tu hai tagliato per il bosco non vale.
Lampo ancora ansimante per la lunga e faticosa corsa gli rispose…..ma come non vale….io sono arrivato per primo ed ho vinto i dieci denari.
Aspano infuriato e con il frustino in mano scese da cavallo e gli si avventò addosso…..ti do dieci frustate altro che denari piccolo imbroglione.
Ma proprio in quel momento, richiamato dal trambusto, apparve il Principe di Calatubo sul suo splendido cavallo baio. Il Principe era uomo generoso e giusto che richiamò subito all’ordine Aspano. Poi dopo avere sentito la versione dei fatti rimproverò aspramente Aspano per avere tentato di prendersi gioco di Lampo e gli ordinò di consegnare i dieci denari della scommessa. Infine disse a Lampo…poichè tu sei un ragazzo molto veloce da oggi ti affido l’incarico di vigilare la costa di Sicciara in modo
che se vedi avvicinarsi qualche nave dei saraceni tu corri subito qui al castello e ci avvisi. Per questo incarico di ricompenserò con un sacco di farina ogni mese.
Lampo era felicissimo. Aveva vinto la gara, aveva vinto dieci denari ed il principe gli aveva dato un buon lavoro con una generosa ricompensa. E così pensando si mise a correre veloce giù per la discesa verso il villaggio.
Capitolo 3° – La battaglia
Erano passati ormai molti giorni dalla scommessa, al villaggio ormai tutti gli volevano bene ed ogni giorno dall’alba al tramonto faceva l’avvistatore appollaiato su un albero della collina di sicciarotta.
Un giorno, appunto che scrutava l’orizzonte, vide molto in lontananza una nave che si avvicinava verso la costa. Capì subito, dalle dimensioni della nave e dal colore della vela che era una feluca saracena.
I più temibili predoni del mare.
Così com’era convenuto con il Principe accese due fuochi, uno vicino all’altro, per segnalare al castello la presenza di una nave straniera. Poi di corsa verso il villaggio ad avvisare la sua gente.
Arrivato che fù al villaggio cominciò a bussare a tutte le porte delle capanne dei pescatori gridando a squarcia gola… i pirati….i pirati.
Gli uomini uscirono tutti dalle loro capanne, le donne si misero a gridare ed i bambini a piangere. Il capo del villaggio u zu Nino azzoppascecchi (lo chiamavano così perchè una volta con un calcio azzoppò un somaro) un uomo grande e grosso cercava di calmare tutti.
….calma….calma….non fate così state calmi. Poi rivolto verso Lampo gli disse…ma tu sei sicuro che sono i pirati ? …sicurissimo zu Nino…. sono proprio loro.
…bene allora le donne ed i bambini debbono salire al rifugio della manostalla…noi intanto dobbiamo fare qualcosa per non farli sbarcare…. tu Lampo vieni qui…corri subito dal Principe e digli…………non c’è bisogno zu Nino…sono già qui. Il Principe in groppa al suo splendido cavallo, insieme con tutti i suoi cavalieri avvisato dai fuochi di Lampo si era precipitato subito al villaggio.
…allora…disse con tono perentorio… le vostre donne ed i vostri bambini potranno rifugiarsi al castello. Li sono più sicuri. Io ed i miei uomini, insieme a voi aspetteremo qui i pirati e li ricacceremo a mare. Si alzò alto il brusio di approvazione dei pescatori che corsero subito ad armarsi con i loro arnesi da pesca.
Lampo si armò con una fiocina per prendere i polpi ed insieme agli altri si mise a disposizione del Principe che ordinò a tutti i suoi uomini, una trentina in tutto, di appostarsi al margine del boschetto di macchie verdi che ricopriva le dune di sabbia vicino al mare. I fondali sono troppo bassi, continuò il principe e loro saranno costretti a sbarcare con le loro barche ed appena metteranno piede sulla spiaggia li prenderemo di sorpresa dentro il boschetto. Poi rivolto verso Lampo gli disse….e tu che fai qui…devi andare al castello con gli altri ragazzi.
…..ma Principe…io…veramente vorrei combattere. Ti ordino di andare subito al castello…apprezzo la tua generosità ed il tuo coraggio ma sei troppo giovane per combattere.
Lampo ubbidì, seppure a malincuore, e si avviò verso la trazzera del Castello, ma giunto a metà strada si fermò e tornò verso il villaggio. Aveva un piano. Avrebbe preso la pece che serviva per riparare le barche, l’avrebbe cosparsa sui rami di alcuni alberi del boschetto che i pirati dovevano attraversare e li avrebbe fatti scappare. E così fece. Quando i saraceni si trovarono nel bel mezzo del boschetto diede fuoco ai rami imbrattati di pece ed i pirati scapparono urlando verso le loro barche. A quel punto gli uomini del principe li attaccarono e li costrinsero a tornare precipitosamente verso la loro nave che dopo poche ore sparì all’orizzonte.
La vittoria fù totale ed il Principe ordinò tre giorni di festeggiamenti. Poi chiamò Lampo e gli disse…per merito tuo i pirati sono scappati senza fare danni a nessuno quindi ti voglio ricompensare regalandoti il mio cavallo baio. Lampo ne fù felicissimo e prese subito il cavallo che nitrii di gioia. Infine chiamato u zu Nino, il capo del villaggio, gli disse….poichè mi avete aiutato a sconfiggere i pirati, per ricompensarvi ho deciso di donarvi un pezzo di territorio di sicciara così che potrete costruirci le vostre case e vivere felici nel vostro paese. E poi aggiunse ancora….. quindi ordino che tutto il terreno che sarà delimitato dal lancio di quattro colpi di balestra diventerà vostro.
Capitolo 4° – Le balestrate.
Mentre la festa si faceva più intensa iniziarono i preparativi per tirare i quattro colpi di balestra. Bisognava scegliere un buon tiratore che sapesse approfittare di alcuni fattori favorevoli per lanciare le frecce quanto più lontano possibile.
U zu Nino chiamò Nuratu. detto spaccaammaru perché con una fiocina era capace di colpire un gambero in movimento.
Bastiano…..disse lo zu Nino……a te è affidato il compito di fare i quattro tiri…..
Ma noi non abbiamo nessuna balestra….replicò Nuratu….come faccio a tirare i colpi.
Il perfido Aspano che fino a quel momento era rimasto ad osservare tutta la scena si fece avanti e disse….se mi permettete i quattro colpi li posso tirare io con la mia balestra che è la migliore di Calatubo….e poi mi devo fare perdonare da voi perché qualche volta sono stato un po’ sgarbato.
Lampo lo guardò sorpreso. Non si fidava di quel tanghero.
Il Principe intervenne e disse…..e sia..domani a mezogiorno i colpi li tirerà Nuratu ma con la tua Balestra. Aspano piuttosto contrariato accettò l’ordine del Principe e se ne andò mugugnando.
L’indomani l’intero villaggio ed il Principe con tutti i castellani si riunirono nei pressi della spiaggia di sicciara per procedere al tiro dei quattro colpi.
Nuratu si mise sull’estremo lembo della spiaggia; piantò per bene le gambe per terra e cominciò a tendere la corda per fissarla al fermo della balestra.
Ma mentre faceva questa operazione Lampo di accorse che Aspano,il perfido tanghero guardava la scena con uno strano sorriso stampato sulla sua faccia di bummulu cruru Evidentemente, pensò Lampo, avrà escogitato qualche trucco per sabotare i tiri di balestra. E nel fare questa considerazione si accorse che le quattro frecce che Aspano aveva scelto avevano la punta appesantita. Questo difetto di punta anzicchè agevolare la corsa della freccia l’avrebbe fermata a pochi metri del lancio.
A questo punto decise di intervenire. Si acquattò dietro una macchia di cespugli ed appena Nuratu scoccò il primo tiro andò verso la freccia, che dopo pochi metri stava cadendo per terra, la prese e correndo come un lampo, come non aveva fatto mai fino a farsi scoppiare i polmoni, le fece prolungare la corsa fino a farla cadere molto più lontano di quanto non avesse potuto.
La gente del villaggio festosa dopo poco raggiunse il posto dove era caduta la freccia e si meravigliò che fosse giunta così lontano.
Anche Aspano, scuro in volto ed accigliato non riusciva a capacitarsi come mai la freccia avesse fatto tutto quel tragitto. Comunque Nuratu sollecitato dalla folla prese ancora posizione dal punto dove era caduta la freccia e tirò altri tre colpi: una verso levante, una verso ponente ed una verso scirocco, e tutte le volte Lampo, velocissimo tanto da rendersi invisibile, ne prolungava la corsa.
Quando tutti i colpi furono tirati il limite del territorio apparve essere maggiore di quello che era stato previsto tant’è che Aspano voleva ripetere i tiri perché diceva che c’era stata una stregoneria che aveva fatto volare le frecce più lontane di quanto potessero.
Ma siccome il Principe aveva dato la sua parola di uomo generoso e giusto chiamò a se tutti gli abitanti del villaggio e disse loro: Ecco questo è il vostro nuovo territorio dove potrete costruire il vostro paese che da oggi si chiamerà Balestrate.
Un urlo di gioia salì alto da tutta la popolazione mentre appartato, stanco ma felice, Lampo sorrideva sapendo che ancora una volta aveva vinto.
Ecco quindi. Questa è la vera storia di Balestrate che da allora, pietra dopo pietra e cresciuta fino ai giorni nostri anche nel ricordo di Lampo. Infatti a Balestrate oggi quando si vuole dire che qualcosa o qualcuno è veloce si dice….a lampo.
In quanto a Lampo, eroe di questa storia, raccontano i vecchi che così come era comparso misteriosamente scomparve. Qualcuno dice però che in estate, nelle notti di luna piena, a mezzanotte in punto, un ragazzo lungo ed allampanato ma dal portamento fiero come un principe, in groppa ad uno splendido cavallo baio, compare davanti il grande cancello del castello di Calatubo.
GIOVANNI MATRANGA 2005
—————————————————————————————————————————————————-
Bellissimi racconti, non li conoscevo.Complimenti sinceri