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Quando un paese fallisce

Quando il Titanic urtò l’iceberg e iniziò ad affondare, all’orchestra che era presente a bordo della nave fu ordinato di continuare a suonare. Musica e sorrisi, come se nulla stesse accadendo. E forse fu anche per questo, come appurarono gli studiosi, che molto passeggeri a bordo non compresero la gravità del momento. Mi sembra sia il miglior esempio per spiegare quello che è successo a Balestrate. Un paese letteralmente sprofondato in cui non funziona più nulla in un letargo generale della popolazione e della politica.

Un anno fa, di fronte a questo immenso naufragio, dopo venti anni di lotte, denunce, progetti, proposte su questo sito, avevo maturato la convinzione che l’unica cosa da fare fosse rimboccarsi le maniche e iniziare una lenta ricostruzione.  Qualche tempo fa ho però assistito di persona a qualcosa che mi ha scosso e mi ha fatto riflette. Partecipando a un corteo funebre, giunto davanti al cimitero, abbiamo trovato il cancello chiuso. Tutti noi presenti, con la persona defunta nella sua bara dentro l’auto, abbiamo dovuto attendere diversi minuti prima che qualcuno venisse ad aprire. Mi sono chiesto se quello potesse essere stato il momento più basso della storia del nostro Comune che nel 2020 ha compiuto 200 anni. Se persino il culto dei defunti, che storicamente appartiene a questa comunità, meriti di essere travolto dalla nave che affonda e si porta dietro valori e sentimenti di un paese.

Il problema però non è il fallimento. Di situazioni drammatiche ne è piena la storia degli enti locali, così come di felici ricostruzioni. Quello che mi preoccupa seriamente è la totale assenza di prospettive.

La politica locale, quella delle nuove generazioni che hanno voluto cimentarsi nel ruolo di amministratori, si sta dimostrando peggiore di quella che per decenni è stata criticata. Si muovono senza visione, di piccole mance elettorali per favorire il gruppetto di turno. Il Pnrr, che doveva essere una grande opportunità, si è ridotto a poco o nulla. Non c’è altro se non fuffa social e i numeri sul territorio lo dimostra: tutti negativi.

In realtà la democrazia avrebbe i suoi anticorpi. Dove un’amministrazione a un certo punto si dimostra incapace di dare una svolta, c’è una maggioranza in consiglio comunale che deve dettare la linea. Non è fantascienza. Questo non è avvenuto. In un Consiglio comunale insignificante fino all’offensivo, ci si aspettava una grande assunzione di responsabilità da figure come Gino D’Anna, Tonino Palazzolo, Salvatore Provenzano, Salvatore Ferrara e i loro riferimenti politici. Sono figure politiche che hanno una storia, una storia politica non indifferente, che hanno fatto l’assessore provinciale, il sindaco, l’amministratore in giunte di grande livello, che hanno avuto un ruolo anche regionale. Queste figure hanno totalmente abdicato al ruolo di responsabilità a cui erano chiamati dalla storia e dalle circostanze. Il vero atto di coraggio non è restare a bordo mentre la nave affonda, perchè è già affondata e non sono certo esenti da colpe. Il vero atto di responsabilità oggi è provare a dare una sterzata mentre la nave si schianta quotidianamente contro un mega iceberg mandando in frantumi il nostro paese. L’incapacità o la mancata volontà di queste figure di azzerare tutto e provare a ripartire con nuovi programmi è una macchia politica di cui la storia renderà loro conto e ragione.

Di fronte al fallimento della politica, la democrazia suggerisce che siano i cittadini a intervenire. Anche questo meccanismo è saltato in maniera preoccupante. A Balestrate una grossa fetta della popolazione ha preso le distanze e ha smesso pure di andare a votare. Un’altra fetta ha subito forse gli effetti della pandemia e della crisi perdendo la coscienza critica capace di giudicare i fatti per quello che sono, divenendo incapace di ribellarsi persino davanti a una scuola al freddo e il proprio figlio in giubbotto, oppure di fronte alla più grande burla elettorale del secolo, la colonia-hotel.

A cosa mai possiamo  aggrapparci, quindi? Nella stragrande maggioranza delle Costituzioni esiste in maniera più o meno implicita il diritto-dovere di resistenza, il dovere, più che diritto, a opporsi con forza a ogni forma di mal governo. Un dovere che investe non tutti, ma chi può, chi sente ancora dentro il fuoco vivo della voglia di migliorare, chi non si arrende all’idea che “l’importante è calare a pignata la sera”. È fatto obbligo, per chiunque sia capace di sentire ancora il senso ingiustizia, sbracciarsi e dare tutto quello di cui è in grado per salvare la propria terra. E questo non lo si fa sui social, con commenti o post piccati, lo si fa scendendo in strada, tornandosi a parlare, lavorando a stretto contatto per ritrovare il valore della condivisione e del confronto faccia a faccia. Anche a costo di rimettere in gioco tutto e di avventurarsi in un alto mare in tempesta, mentre la nave è già affondata.

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